PALAZZO DEL BUE Via G.Marconi, 44 Rivarolo Mantovano (MN)

Animus

Dopo tre mesi di chiusura Palazzo del BUE riapre e prosegue con il suo programma di mostre ed eventi: sabato 27 giugno, alle ore 16:00 ha aperto la collettiva d’arte Animus, una mostra al femminile curata da Anna Bottoli nella quale hanno  esposto Bianca Lupi, Maria Tezza, Sofia Bombonati e Wilma Schirolli.

L’Anima e l’Animus sono descritti nella scuola di psicologia analitica di Carl Gustav Jung come parte della sua teoria dell’inconscio collettivo. Jung descrive l’Animus come il lato maschile inconscio di una donna, e l’Anima come lato femminile inconscio di un uomo: Yin e Yang, amore e odio, bianco e nero, maschile e femminile, ragione ed emozione, luce ed ombra, cielo e terra, uomo e donna, conscio e inconscio.
Animus e Anima, cosa sono e cosa rappresentano per Carl Gustav Jung?
Il doppio, o meglio, la complementarietà per eccellenza, la dualità, in cui ogni cosa è parte di un’altra, la contiene e, nel contempo, le appartiene. L’Animus e l’Anima rappresentano il maschile e il femminile insito nella psiche di ogni essere umano. L’uomo e la donna contengono entrambi gli elementi: ogni donna ha in sé un uomo e ogni uomo ha in sé una donna, ogni donna è anche Animus e ogni uomo è
anche Anima. Paradossale o scontato? Forse solo naturale: esprimono l’ermafroditismo che, a sua volta, ci riporta al mito dell’androgino, come aspirazione inconscia alla completezza perfetta…

BIANCA LUPI
L’installazione di Bianca Lupi Corpi tra Corpi è l’emblema dell’unione di Anima e Animus. Un mosaico di corpi femminili, maschili, talvolta anche intersessuali, dai colori sgargianti posti in netta contrapposizione l’uno con l’altro. Con quest’opera l’artista ricerca la dualità dell’Uomo, formata da anima e corpo. Dualità che è Anima nel corpo di un uomo e Animus nel corpo di una donna. Lo sviluppo dell’androgino, come completezza dell’unione di uomo e donna, parte da una ricerca compositiva basata sullo studio di un segno libero da qualsiasi richiamo alla figurazione. Questo tratto inizialmente lineare e spezzato è stato traslato e associato alla figura del corpo maschile, più squadrato, che si è evoluto successivamente in figure femminili dal nuovo segno più morbido e aggraziato. La resa finale della composizione ci ricorda la tecnica musiva, tessera dopo tessera, seguendo l’andamento e mantenendo l’interstizio, otteniamo una visione d’insieme. L’opera di Bianca presenta un affollamento caotico di corpi colorati e disegnati in posizioni contorte, questi corpi vivono e comunicano tra loro non solo nella totalità ma anche nel singolo spazio del foglio, nella loro identità.

 

MARIA TEZZA
L’aspetto formale delle opere di Maria Tezza non è di immediata comprensione. Dopo l’affrancamento dalla figurazione si cimenta nell’astrazione per tradurre in suggestioni visive primordiali un’indagine sull’incontro dialettico tra l’ordine delle cose sempre dato e il
loro intrinseco caos generatore. Maria realizza monotipi, una tecnica ibrida che unisce la pittura alla stampa calcografica tirata in un unico esemplare irripetibile; la lastra non viene incisa, su di essa è eseguito direttamente il disegno che viene subito stampato. Di fronte all’evidente differenza tra la stampa e la sua matrice sceglie di indagare su quanto nel monotipo entri in gioco una componente casuale indipendente. Ciò che accade sotto al torchio è metafora di rigenerazione: il risultato finale si discosta da ciò che inizialmente l’artista aveva
pianificato. La matrice quindi incarna la parte razionale, umana, la stampa invece dà corpo all’azione imponderabile del caso. Ciò che la mente premedita è spesso difforme a quello che si manifesta nella realtà, per questo con un secondo passaggio in post-produzione
Maria sovrappone le matrici iniziali alle relative stampe finali. Fonde i due momenti per fermarne uno preciso, intermedio, altrimenti inafferrabile: quello in cui l’azione ordinante della mente si incontra con il frutto dell’intervento del caso.

 

SOFIA BOMBONATI
Sofia Bombonati studia la deformazione anatomica utilizzando la tecnica ad olio. Nei suoi lavori il colore viene eliminato poiché da lei considerato prettamente decorativo. Ogni personaggio rappresentato è l’interpretazione di uno stato d’animo dormiente che deve
ancora manifestarsi. Vediamo rispecchiarsi nelle opere di Sofia l’Animus, il suo lato maschile inconscio che si mostra solo nell’atto di dipingere. Le sue rappresentazioni definiscono un luogo di passaggio, senza tempo e senza fine, per ciò che non ha un’identità propria ma solo una presenza fisica priva di qualsiasi riferimento al reale. Lo stadio di ibernazione di questi corpi blocca il naturale processo di putrefazione come anche lo scorrere di sangue inteso come liquido vitale, lasciandoli sospesi in questo limbo spazio-temporale. Un arresto netto del tempo e di ciò che li circonda, evoca così un’atmosfera sospesa che lascia lo spettatore spaesato nella misura in cui quest’ultimo vive, in contrapposizione con i soggetti dipinti, il naturale ciclo della vita.

 

WILMA SCHIROLLI
Wilma Schirolli era conosciuta come la sarta di Rivarolo Mantovano, ma non possiamo ricordarla solamente per il suo mestiere, infatti nel tempo libero coltivava la passione per la pittura. Ne sono prova i dipinti qui esposti, dalle riproduzioni da lei reinterpretate in modo
unico e personale dei quadri di Van Gogh, a nature morte con vasi di fiori che testimoniano un suo gusto più classico. La sua creatività non si fermava al tempo libero, si dilettava con il suo lavoro nel comporre abiti seguendo la moda del tempo, adattandoli al suo stile. I disegni appesi documentano il suo studio su linee nuove che valorizzano le forme della donna. Dagli anni sessanta l’abito per la donna diventa il simbolo tangibile della crescente emancipazione femminile che si stava sviluppando nella società. In queste opere è evidente il piacere di portare avanti una passione, di creare arte al di fuori degli ordini costituiti.

Anna Bottoli, curatrice